Godspeed You! Black Emperor - Bologna, Estragon - 26/01/2011

Lo so, lo so! Il concerto dei Godspeed You! Black Emperor è stato ancora il 26 gennaio, 2 settimana fa e oramai non ha più senso scriverne la recensione. E a me va lo stesso perché ho tante cose arretrate da scrivere che non riesco più a tenermele in mente e corro il rischio di dimenticarle, escluse quelle che ho lasciato confuse tra le c.d. bozze.
E' che purtroppo tra lavoro e impegni vari e tecnologie ho perso anche l'abitudine di scrivere i miei vaneggi nel blocchetto come uno scribacchino.
Però quello di (ben) due mercoledì fa è stato uno spettacolo stupendo! Non sapevo cosa aspettarmi da un gruppo come quello di Efrim Menuck, Mauro Pezzente e compagnia bella perché la loro è una musica che viaggia si sposta su diversi fronti senza mai poggiarsi per tanto tempo su un genere particolare. Inoltre, non ci sono parti cantate ma solo strumentali. Certo come il jazz e ne ho visti di concerti jazz ma sai cosa aspettarti, in un certo senso. Quel mercoledì invece ero pieno dell'unica aspettativa che potevo permettermi ed era massima curiosità.
Non sono andato a Bologna da solo, ma con Infection (per gli amici Infe), al secolo Marco. Lui i Godspeed You! li conosce molto bene mentre io sono ammaliato da East Hastings che accompagna una delle scene iniziali di "Sette giorni dopo", bel film di Danny Boyle del 2003 e poche altre che conosco. Facendomi un po' di cultura a loro riguardo, posso dire che seguono una filosofia ecologista, anarchica e anticonformista ma non è del tutto sicuro perché questi qui non si vogliono far intervistare fotografare ne' far etichettare in alcun modo, musicale compreso. In gergo tecnico, potrei dire che sono uno di quei gruppi strani che quando suona sembra sa la tiri da qui a Kathmandu e ritorno se ne vanta e vuole essere lasciato in pace.

Il viaggio tra Vicenza a Bologna è stato molto bello perché per quanto ci possiamo conoscere io e Marco non siamo mai stati insieme da soli chiusi in un abitacolo per un tempo così lungo. Anche il viaggio fa parte del concerto quando devi andare in un altra città e a me è piaciuto perché abbiamo condiviso le nostre idee musicali (aspetto ancora dei link a proposito e credo che alla prossima occasione di aggiungerci anche alcuni suoi cd...), politiche, sportive. Poi è bello viaggiare di notte lungo una strada che fino a poche ore fa veniva segnata da un numero enorme di pneumatici mentre alle 2 del mattino ci passava solo la sua macchina con i camion che dormivano sul ciglio.
Non sono mai stato all'Estragon: comodo all'autostrada ha un gran bel parcheggio ma non essendo pratici della zona abbiamo parcheggiato a qualcosa come 1 km dal locale! Poco male, abbiamo fatto la strada con un bolognese doc incontrato sul viale d'accesso. Sembra una struttura provvisoria col buio non sono riuscito a capire molto ma esiste da un po' di tempo e ospita diversi concerti interessanti come Thin Lizzy e Marlene Kuntz per citarne due così... un postoche a Vicenza farebbe comodo eccome... magari di questo me ne occuperò in un altro post...

Alle 22 in punto cioè quando abbiamo messo piede dentro il locale è cominciato il concerto del tipo-spalla, tal Colin Stetson, sconosciuto ai presenti (me incluso, l'ho appena saputo dall'oracolo) ma da quel 26/1 famoso per la sua camicia a quadretti invidiabile, che brandiva due sax: uno classico e uno enorme, probabilmente un sax subcontrabbasso. Dal basso delle mie conoscenze musicali non posso esprimere un giudizio serio ma, affidandomi a quello che ho sentito e alle facce dei presenti di cui sopra, mi sono fatto l'idea di uno che voleva dimostrare ad ogni costo, anche a quello di rimetterci  i polmoni, che chiunque può permettersi di dichiararsi artista senza saper suonare davvero bene. A un certo punto, uscendo dal bagno, credevo ci fosse qualcuno sul palco intento a emettere suoni striduli, tra un urlo e un miagolio. Invece per mia sorpresa era Stentson, capace di tirar fuori suoni inumani dai suoi strumenti. Da li in poi sono rimasto ad ascoltarlo rapito anche dalla sua fisicità: al termine di ogni brano invece di prendere fiato si metteva a ringraziare a dirci che l'Italia ha una buona cucina bella gente (originalità gli fa difetto) e a dedicare una canzone alla mamma perché era il suo compleanno e se ne era scordato! Vabbhè, finita la sua prestazione, il ragazzo se ne è tornato da dov'era venuto (forse il Michigan).
Nell'attesa de IL concerto, Infe mi fa notare da bravo ingegnere che almeno l'85-87% dei ragazzi presenti ha la barba compiacendosi di farne parte. Per completare l'indagine ho aggiunto che una percentuale imprecisata ma elevata di ragazze era molto carina, trovandolo oltremodo d'accordo.

Alle 22:57 spaccate i GY!BE entrano sul palco alla spicciolata: prima il batterista, poi il bassista, poi la violinista, un chitarrista, poi il percussionista seguito dal contrabbassista, l'altro chitarrista e infine il secondo bassista. Non conoscendo i titoli delle canzoni mi limito a trascrivere, così come le ho scritte, le sensazioni che sono riuscito a notare sul cellulare quella sera.

Otto elementi a semicerchio davanti la scritta "HOPE" che a intermittenza insieme al rullante crea un'atmosfera di attesa molto tesa con la complicità del violino che stride una melodia alternata ma i toni bassi del rullante che rimbombano nel torace in un crescendo ansioso accompagnato dagli archi e da un acuto rintocco metallico che ha tutta l'intenzione di salire alla ribalta. Gli altri elementi dopo aver fatto le belle statuine nella penombra si uniscono formando un unisono melodico che ti si infila nella cassa toracica sempre più veloci ossessivi trasformandosi in sostanza concreta presagio di un ineluttabile ritorno alle distorsioni iniziali catastrofiche annunciate dai rintocchi solenni della batteria.

Il secondo brano è un fiore, un soffione in mezzo un campo di fiori selvaggi con l'erba alta mosso dal vento. Uno dei semi bianchi nonostante cerchi di resistere con l'aiuto degli altri fiori e dei fili d'erba non riesce a evitare di staccarsi e decolla verso il cielo in un giorno poco raccomandabile. Ma solo quando è in aria scopre la bellezza della sospensione e del suo punto di vista diverso. Tanto che decide di lasciarsi andare dove lo porta vento.
L'Estragon ha un'acustica eccezionale, si sento alla perfezione tutti i suoi compresi quelli più brevi ed acuti, come quella campanelle che sento e che pare di fianco a me.

Un'altra canzone, la terza o la quarta, mi sono perso nel divenire della musica, è un ricordo fatto di belle immagini di indimenticabile vita passata cullate dalle rassicuranti note rotonde ed avvolgenti del contrabbasso. Situazioni sentimenti sapori luoghi parole volti gesti scorrono come foto intangibili. Fintantoché non vieni all'improvviso sorpreso dalla consapevolezza che quei pezzi di vita sono irrecuperabili e il ritmo dello scorrere delle immagini diventa irrefrenabile. Ti travolge la disperazione come l'incessante ritmo della batteria che scandisce il tempo passato. Finché non realizzi la bellezza di quel tempo andato ma vissuto a darti conforto e sollievo.

L'andamento dei brani dei GY!BE sembrano sedute prano/psicoterapeutiche: all'inizio si cerca di capire con calma perché e dove si sta male. Poi dopo varie perlustrazioni finalmente si trova il punto giusto e bisogna sgonfiare, alleviare. E non ci vuole mica poco tanto che il male uscendo molto poco alla volta è ancora più infimo ti contorce in uno strazio. Ma la chiara sensazione di venirne a capo ti conforta e ti incoraggia. Stringi i denti resisti vai avanti fino a farti tirar fuori il male che ti affliggeva. E scoppi in lacrime per il sollievo. Ce l'hai fatta.

Dopodiché ho deciso di tenere il telefono in tasca e godermi il concerto in santa pace senza distrazioni. Fino alla fine, fino a East Hastings, mai fatta negli altri concerti precedenti come mi diceva Infe durante il viaggio di andata. L'ho ascoltata impalato dalla gioia di sentire una canzone che al primo ascolto, grazie anche alle sue immagini sconvolgenti, mi aveva subito preso e impressionato e annichilito dal suo moto crescente che si schianta nel boato finale. Le immagini che si impattano sul telo ma, prima ancora, sul manipolo di otto elementi, raccontano di rivolta protesta voglia di riscatto terrore e paura di una fine indesiderata. Ma fatalmente a portata di mano, come dice la scritta che conclude due ore e mezza di spettacolo emozionante: "The end is at hand", come quella, la mano, che uno dei GY!BE alza per salutare finché gli otto in silenzio e uno per volta come sono arrivati lasciano il palco.

Tornando di notte lungo una BO-PD deserta non potevo fare a meno di pensare alle immagini della Londra desolata di Boyle.

SETLIST

- BBF3
- Rocket Falls on Rocket Falls
- Sleep
- Storm
- Static
- Gamelan
- Moya
- East Hastings



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