Ayrton Senna è

Se non avete mai conosciuto un brasiliano triste, o per lo meno serio, non avete mai conosciuto Ayrton Senna.
Non che fosse mio compare di bevute, uno perché non ce lo avrei visto, due perché aveva 18 anni più di me e tre perché lui faceva parte di quel mondo inarrivabile che è la F1. E quattro, sarebbe potuto anche diventare mio amico di bisbocce, se 22 anni fa non fosse successo quel maledetto week end.

Non avevo ancora smaltito il suicidio di Kurt Cobain che aveva deciso di spararsi il 5 aprile.

Anche l'1 maggio di 22 anni fa era domenica. 
Ero fuori a pranzo con famiglia e parenti e come spesso succedeva anche quella volta per tornare a casa sfrutto un passagio dei miei cugini Matteo e Davide che avevano piani più interessanti per il dopo pranzo.
Io dovevo guardare il GP di S. Marino di F1 dal circuito di Imola.
Sapevo che la gara era già iniziata ma in macchina non abbiamo acceso la radio.
Sono entrato in casa e quando ho accesso le tivù ho solo sentito le voci fredde e tristi di Mario Poltronieri ed Ezio Zermiani che facevano capire che era successo qualcosa di brutto.
Come se non fosse bastato l'incidente a Rubens Barrichello nella prima sessione di prove il venerdì e la morte di Roland Ratzenberger nella seconda il sabato.
Ho subito messo sul televideo che all'allora pagina 230 titolava a caratteri maiuscoli l'incidente di Ayrton Senna.
Mi sono fermato li. A chiedermi se avevo sbagliato io a leggere. Se era un film. Se era tutto falso.
La stessa sensazione che provai il 23 ottobre 2011 quando morì Marco Simoncelli nel GP di Malesia.
Un attimo di smarrimento. "Non è vero! Non è possibile!" è l'unico pensiero che rimbalza da una parte all'altra della testa con gli occhi fissi allo schermo.
In televisione non parlavano ancora della sua morte mentre sul Televideo, come sempre, non tradiva la realtà.

Comprensibilmente i telecronisti al circuito e in studio non sapevano cosa fare e tantomeno cosa dire. La notizie della morte di Senna arrivò dopo la gara, dopo le 18, perché comunque si doveva correra, perché "the show must go on" così come il suo business.

Quello è stato il peggior week end della storia dei motori. Sembrava maledetto. Incidenti in corsia box, in pista in qualifica ed in gara con feriti anche tra gli spettatori. Se poi succede ad un pilota tre volte campione del mondo come Senna, tutto si amplifica ma quello che è successo prima si dissolve. Per questo ogni anno piangiamo un pilota brasiliano e mai uno austriaco.
Anche l'1 maggio di 22 anni fa era domenica. E dal pomeriggio alla notte non ho mollato la televisione, non ricordo di aver visto prima la Domenica Sportiva.

Odiavo Senna. Perché era dannatamente bravo e guidava la macchina che vinceva sempre, la McLaren. E come tutti i piloti in quel ruolo era antipatico.
Ma non era colpa sua. L'unica sua colpa era quella di essere un vincente. Lui era la F1 in quegli anni.
Era un brasiliano anomalo: non era come Nelson Piquet che schervaza coi cronisti poco prima di partire. Era un brasiliano malinconico, con quegli occhi scuri sempre seri concentrati educati già proiettati verso la prossima curva.
Lui quando scendeva in pista andava a lavorare, non - solo - a correre dentro un bolide.
Penso che tutti gli appassionati di F1 che odiavano Senna, quel 1° maggio di 22 anni fa abbiano pianto. Perché avevano appena perso un eroe.
Ayrton Senna è quello che non si risparmiava critiche alla direzione corse nei briefing all'inizio del week end di gara: se aveva delle osservazioni o era contrario a qualche decisione lo diceva.
Ayrton Senna è quello che durante le prove del GP del Belgio del '92 ferma la macchina quasi in mezzo la pista, esce di corsa dall'abitacolo per filare a soccorrere Eric Comas vittima di un brutto incidente, avendo il sangue freddo di voltarsi per controllare che la sua McLaren non si fosse mossa.
Ayrton Senna è quello che vince il GP del Brasile del '91 percorrendo metà gara col cambio bloccato in 6a e sfinito non riesce a guidare fino ai box. Ci arriva su un'auto di servizio e sul podio non riesce neanche ad alzare la coppa per i crampi, perché non poteva mollare davanti al suo pubblico. Di quella gara non scorderò mai le urla di Senna, ormai impazzito e sfinito.
Ayrton Senna è quello che quando pioveva si esaltava e lo dimostrò nel GP di Montecarlo dell'84, quando al volante di una Toleman fu protagonista di una gara incredibile tanto che se il direttore di corsa non la avesse interrotta Alain Prost, il pilota col quale ebbe una rivalità profonda per tutta la carriera, avrebbe rischiato la vittoria. E lo confermò l'anno dopo vincendo il suo primo GP in Portogallo all'Estoril sotto la pioggia. Venne soprannominato "il mago della pioaggia", mentre Prost la temeva.
Ayrton Senna è quello che dopo gli incidenti del venerdì e del sabato voleva annullare il GP di S. Marino.
Ayrton Senna è  quello che porta nell'abitacolo una bandiera dell'Austria da sventolare in caso di vittoria per ricordare un pilota che nemmeno conosceva ma col quale condivideva la professione ma anche il trafigo destino.



Qualche mese dopo, quando i giocatori della nazionale brasiliana di calcio in mezzo ad un campo da calcio in California festeggiavano la vittoria ai mondiali contro l'Italia sventolando la bandiera di Senna, ho avuto un attimo di felice commozione.
Mi ha sempre impressionato una cosa: quello era il quarto mondiale di calcio per il  Brasile. Proprio come quello che voleva vincere Ayrton. 

"Quando c'è uno spazio, o ti ci butti in quanto pilota professionista che è nato per vincere gare oppuri arrivi secondo, o arrivi terzo o arrivi quinto.
Io non sono nato per arrivare secondo, quarto o quinto, io corro per vincere.
E se non cerchi di infilarti in uno spazio che esiste, allora non sei un pilota"

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